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Scrivimi una mailÈ stata una diretta un po’ diversa dal solito. Chi ha ricevuto la newsletter sa che quello delle dirette è un ciclo che sta per concludersi, sicuramente riprenderò l’idea in futuro e vorrei chiudere con un’apertura. Lo so è un ossimoro.
Parentesi è una serie di dirette a due per imparare qualcosa e lasciarci ispirare da menti creative. Il focus è la comunicazione e in questa prima puntata, insieme a me, c’è lo scrittore Alessandro Forlani che ho intervistato. Potete rivedere il live qui sotto, oppure proseguire e leggere l’articolo.
Alessandro è uno scrittore sui generis, lontano forse dalle celebrità che siamo abituati a vedere in tv o sui social. Alcuni definiscono il linguaggio dei suoi libri “ostico”, altri “potente ed evocativo”.
Nasce a Pesaro nel 1972, si laurea in Lettere Moderne con una tesi su Tommaso Landolfi . Insegna sceneggiatura, drammaturgia e scrittura creativa all’Accademia di Belle Arti di Macerata, all’Università di Bologna, alla scuola di Comics di Pescara e in istituti privati.
Nel 2011 vince il Premio Urania 2011 e nel 2012 il Premio Kipple 2012 con il romanzo I Senza Tempo. Nel 2013 vince il Premio Urania Stella Doppia con il racconto Materia Prima.
Pubblica regolarmente antologie e romanzi horror, fantasy e fantascienza presso vari editori.
I suoi manuali di scrittura creativa Com’è facile scrivere difficile; Com’è facile diventare un eroe e Com’è facile vivere in Atlantide dal 2014 sono tra i più venduti su Amazon. Ha creato con Lorenzo Davia il progetto Crypt Marauders Chronicles – Thanatolia: una piattaforma di narrativa fantastica a cui hanno aderito molti autori italiani.
Fermo restando che le recensioni su Amazon bisogna prenderle un po’ con le molle, soprattutto quando leggi una recensione a Moby Dick e trovi qualcuno che dice “questo romanzo non è un gran che perché parla di Balene” o una recensione all’Iliade che dice “questo non mi è piaciuto perché è in versi”.
In genere scrivo letteratura di genere, ovvero Horror, Fantasy e Fantascienza. Quindi una letteratura volta all’intrattenimento con speculazioni di carattere fantastico o horrorifico e quindi va da sé che rientra nella letteratura popolare. Purtroppo però l’utente medio di un certo tipo di letteratura è abituato a un uso del linguaggio anche un po’ abusato, soprattutto per quello che riguarda quei termini o parole, una per tutti gli aggettivi per esempio, che sono gli strumenti che lo scrittore usa per suscitare determinate sensazioni, emozioni nel lettore e per fargli vivere la scena che stai descrivendo, per fargliela vedere. Si scherza, ad esempio tra colleghi, dicendo per esempio nel fantasy le fiamme sono sempre corrusche, la luce è sempre abbagliante, la lama è sempre affilata.
Si tratta di suscitare una sensazione. Di solito nei corsi di scrittura faccio questo esempio, mettiamo che devo scrivere una scena molto splatter ed efferata. Posso dire “le budella”, “i visceri”, “le interiora” che non sono esattamente la stessa cosa se entriamo nello specifico. Ad esempio, le interiora si usano per gli animali ed evocano una certa freddezza anatomica. Le budella, invece, fanno un po’ ridere. C’è un modo di dire dalle nostre parti, nelle Marche, quando vai in giro “tutt sbudlet” quasi come a dire che i vestiti escono tutti fuori. Se, invece inizio a dire “i visceri” tu inizi già a sentire qualcosa di più disgustoso.
Scegliere una parola piuttosto che l’altra può suscitare subito una sensazione. Questo vale per tutti i tipi di aggettivi, la luce non deve essere sempre “debole” mentre una luce fioca rende l’idea e ci fa pensare anche a un tipo di illuminazione. Una volta si diceva basta semplicemente avere il vocabolario dei sinonimi e dei contrari, ma il lavoro dello scrittore è anche stupire e disturbare, perché no? Nell’arte l’artista si diceva deve porre le domande che gli non hanno avuto il coraggio di fare, io invece dico dai delle risposte che il pubblico non vuole sentirsi dare. Noi implicitamente quando facciamo una domanda vorremo che ci rispondessero in un certo modo, quindi ci si può spingere anche un po’ più in là.
Chi si occupa di scrittura, di comunicazione e pubblicità può imparare tantissimo dalla poesia che usa spesso parole onomatopeiche. Anche lo slogan si ispira alla poesia. C’è una definizione di dell’inferno William Butler Yeats che cito sempre: “deep horror of eyes and of wings” (un orrore profondo di ali e occhi), è perfetta!
Poi se ci sono lettori che capiscono e apprezzano la direzione in cui cerco di muovermi e trovano la mia scrittura potente ed evocativa naturalmente sono contento.
Questo nella letteratura di genere va un po’ da sé, perché può contare sul fatto che ci sono un numero di appassionati che non dico a scatola chiusa ma quasi, comprano tutto quello che fa parte di quel genere. Per esempio, pensa a quelli che appassionati di cinema horror, purché horror guardano tutto. Poi riconoscono ovviamente che alcune cose sono una ciofeca o pensa alla fascinazione dell’immaginario steampunk. Io stesso sono vittima di questa cosa e ho preso delle solenni fregature. Ammetto che ho tirato dei libri dalla finestra e buttato via dei dvd perché erano delle cose inguardabili, il discorso però è che li ho comprati, come cliente mi hanno avuto, poi magari mi hanno perso. In un certo senso quindi è garantito, un bacino di pubblico ce l’hai. Un consiglio che gli agenti letterari danno è ad esempio, di buttarsi nel thriller che ha un bacino di pubblico più grande. Di contro c’è che così come molti sono entusiasti a priori di un certo genere, ci sono alcune persone contrarie a priori a un certo genere. La vera impresa è conquistare quelli, perché è lì che si apre il mercato.
Sì, rischi. Nel mondo della narrativa di genere c’è anche il discorso della contaminazione. Io ad esempio non posso dirmi uno scrittore di fantascienza puro, o di horror puro o fantasy puro, perché in tutte le cose che scrivo c’è una fortissima contaminazione di altri generi e questo me lo sento rimproverare spesso e viene fuori anche nelle recensioni. Le contaminazioni sono un buon punto di incontro anche perché apre il discorso di un concept diverso. Ci sono dei generi che sono già istituzionalizzati e che lavorano su questa cosa per esempio il dark fantasy: mi piace il fantasy ma non voglio atmosfere idilliache, voglio le cose cupe al limite dell’horror. Pensa a una cosa come Alien per esempio, è un film di fantascienza o un horror? Pensa a Passenger è una storia d’amore o è fantascienza? O a District 9 è un film di impegno sociale e politico o un film di fantascienza? Poi la fantascienza è un genere che mi interessa molto, cioè usare la fantascienza per esplorare certi problemi di carattere sociale o politico.
Il concept può fare davvero la differenza fra prodotti apparentemente uguali. Io sono d’accordo con i vari teorici della letteratura che dicono che esistono fondamentalmente 12 o 10 o 7 storie, cioè che fondamentalmente continuiamo a raccontarci sempre le stesse, ed è anche vero. L’importante però è capire “come” e il discorso del concept è importante. Spesso si fa l’esempio di CSI che è un poliziesco. Quanti ne abbiamo visti? Mia nonna per dire, guardava l’ispettore Derrik. Finalmente a qualcuno viene l’intuizione di non far vedere il “poliziotto tipo” ma di far vedere i poliziotti scienziati, cioè quelli il cui approccio è quello scientifico e della ricerca. Quindi non facciamo vedere l’uomo d’azione, quello che fa l’inseguimento, facciamo vedere quello che sta in laboratorio, che ci arriva con l’intuito e l’analisi. Prova a pensare la fortuna che avuto il Legal Thriller, per la prima volta vediamo gli avvocati o quel periodo della fiction italiana con le serie sulle forze dell’ordine.
Il fatto che sia una sperimentazione nuova bisognerebbe usarlo come punto di forza nella comunicazione, non mostrare il lato debole tipo “io scrivo Romanzi, scusate se provo anche a scrivere un thriller, chissà se vi piacerà” ecco no. Deve diventare un argomento di interesse. Lo ha fatto anche J. K. Rowling, prima scriveva Harry Potter e poi si è data a un altro tipo di personaggi e figure e quello è stato un momento di interesse. Un altro esempio è Samuel Beckett che conosciamo tutti come autore teatrale, non tutti sanno però che prima era un romanziere e un poeta. Quando nel ’49 iniziò a scrivere Aspettando Godot dice “io ho iniziato a scrivere per il teatro per sfuggire alla prosa orribile che scrivevo a quel tempo. È un processo quasi retorico, mi prendo un po’ in giro da solo dicendo “I romanzi? Ma avete ragione, perché erano proprio brutti! Me ne sono accorto io per prima, l’ho sentito come artista e ho trovato nel teatro questa grande libertà di scrittura” E secondo me può essere comunicato in questo senso. Anche perché il lettore intelligente in questo senso ha curiosità di quello che un autore che ha gli strumenti di un certo genere può portare in un altro genere di cui si occupa. A chi non piacerebbe vedere una storia d’amore scritta da Dario Argento? Che magari sarebbe anche capace di cogliere quegli aspetti inquietanti o potenzialmente inquietanti di temi e argomenti che noi vediamo del tutto positivi.
Paradossalmente io consiglio di avere una buona manualistica tecnica, quindi vi servono oplologia di botanica, riviste di moda, insomma tutto quello a cui potete attingere. Di strutture ne esistono narrative tantissime, bisognerebbe sceglierla in base a cosa si vuole comunicare e alla piattaforma. Sicuramente tutti avranno sentito parlare del miracolo che fa il viaggio dell’eroe, sono d’accordo, però per altre forme di narrazione e di scrittura ci sono strutture più adatte. Per esempio, ormai da tempo la scrittura televisiva ha adottato la struttura a 5 atti che funziona benissimo, io abuso di una struttura nata per il cinema quella in 9 atti, per scrivere i racconti perché ho scoperto che funziona benissimo. Dipende appunto da “cosa e da “dove”. In linea generale posso dire che un po’ tutte le forme di narrazione cinema, prosa, ecc. ultimamente seguono le forme della scrittura cinematografica. È quasi ovvio perché abbiamo un pubblico che ormai è cinematografico e televisivo. Il modello è la serialità televisiva quella dove vedo più sperimentazione e ricerca.
L’intervista finisce qui, ma spero davvero che Alessandro Forlani torni a trovarci. Grazie per avermi letta, alla prossima!
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